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Una piccola grotta, scavata ai piedi di una roccia tufacea dirimpetto alla città, circondata da altre piccole grotte, veniva usata, tra la fine del ‘300 e i primi anni del ‘400, da un gruppo di monaci eremiti come luogo di preghiera e di raccoglimento.
Ancor oggi, la parete di sinistra è ornata da due immagini della Madonna, una accanto all'altra e, dobbiamo dire, una più bella dell’altra; dirimpetto, nella parete di destra, in un riquadro più piccolo, è venerato S. Cristoforo, che attraversa un ruscello portando sulle spalle il Bambino Gesù. Nella seconda metà del ‘400 quella grotta fu trasformata in piccola chiesa: nella parete di fondo, nella quale fu scavata un’abside semicircolare, venne dipinta l’immagine dell’Eterno Padre che sorregge la croce nella quale è appeso il Suo Figlio; in alto, nella volta semisferica, circondata da angeli, venne rappresentato lo Spirito Santo, in forma di colomba; ai lati della Croce, dalla parte destra sta la Madonna con il Bambino in braccio che guardano la città e fissano insieme i fedeli che entrano; a sinistra l’immagine di San Giovanni, con il volto sereno e pensoso.
Sotto l’immagine della Madonna, una scritta ancora conservata ci dice che quelle immagini furono fatte dipingere dall'eremita Nicolò Cappa di Vigne nel 1460.
Simon Feo, medico e poeta ortano che visse tra l’ultimo trentennio del ‘400 e i primi anni del ‘500, chiuse con questi distici la sua elegia “Ad amicum” su Orte:
“Lucus in excelsi consurgit vertice colli:
Hic virides hortos, hicque sacella vides;
Ex topho fratrum manibus
discissa feruntur
Hic lachrimis summi
flectitur ira Dei”
(Sull'atta vetta del colle sorge un bosco: qui potrai vedere orti verdi; qui piccole celle; si tramanda che queste sono state scavate nel tufo con le mani dei frati; qui con le lacrime si placa l’ira del sommo Dio).
Nel 1604, frate Eliseo, capo eremita a quel tempo della piccola chiesa della Trinità, promosse nella chiesa di San Biagio in Orte la congregazione dell’Annunziata, con l’incarico di provvedere alle necessità della piccola chiesa rupestre.
A confermare il suo patrocinio, nel 1630, la congregazione fece dipingere, ai lati estremi dell’abside, la Madonna che accoglie l’annuncio e l’Arcangelo Gabriele che glielo porta.
Il 14 marzo 1754 un terribile incendio distrusse completamente la chiesa di San Biagio, con tutti gli ornamenti, la preziosa suppellettile e, cosa ancor più dolorosa, l’antico ricchissimo archivio.
Dal 1630 ai 1754 non abbiamo perciò notizie sulla chiesa della Trinità: abbiamo soltanto alcuni documenti marmorei affissi sulle pareti.
Nel pilastro di sinistra che sorregge l’abside, una lapide attesta che la chiesa e il romitorio, in pericolo di andare in rovina, fu restaurato dai confratelli della congregazione dell’Annunziata nell'anno 1780.
Nel pilastro di destra è riportato ufficialmente il nome dell’eremita che fece dipingere la Madonna della Trinità: Nicola Cappa.
Quella chiesa era stata sempre punto di riferimento della pietà ortana verso la Mamma che “guarda e protegge Orte“.
Quando nel 1944 scoppiò il treno carico di munizioni ci fu un pianto generale: la chiesa era stata sotterrata dai massi di tufo che si erano staccati dalla rupe.
Gli ortani non ebbero più pace.
A partire dalla Costituzione delle “Confraternite riunite di Orte“, le diverse confraternite ripresero l’antico vigore e gruppi di confratelli si dedicarono con altruismo a restaurare e a recuperare qua e la gli aspetti più importanti e più validi della vita religiosa e cittadina.
In questo quadro, Pietro Martini e Giovanni Nasetti, due confratelli della congregazione dell’Annunziata, indirizzarono il loro impegno al recupero e al restauro della chiesa della Trinità.
Si misero all'opera giorno per giorno, con ammirevole pazienza, cominciarono a scansare i massi tufacei, fecero riemergere poco a poco il piccolo santuario, che ritrovarono miracolosamente intatto, con la Madonna che non aveva mai cessato, pur sotto le macerie, di guardare Orte, riportarono in vita il pozzo da una parte e il piccolo orticello dall'altra: non lo coltivarono più come avevano fatto gli eremiti per mantenersi in vita, ma lo sistemarono a piccolo piazzale per dar modo ai numerosi devoti e, particolarmente ai giovani, di studiare all'aperto, riflettere, e pregare accanto alla Madonna della SS. Trinità.
Le famiglie ortane che hanno le finestre dirimpetto al Santuario non vanno a dormire se prima non danno uno sguardo e un saluto alla Madonna.
Pietro e Giovanni hanno dato oltre 20 anni di lavoro e custodia, ed è merito loro se il piccolo santuario è diventato patrimonio irrinunciabile della vita e della pietà del popolo ortano.
Oggi sono in Paradiso: la piccola chiesa è custodita, con altrettanta dedizione, dalla famiglia di Mario Martini.
Nel 1985, con il contributo della Soprintendenza dei beni artistici, furono restaurate le pitture della chiesa, con il contributo delle famiglie Ortane e con la guida della Soprintendenza è stato anche intrapreso un lavoro assai impegnativo per stabilizzare le pitture e dar loro un respiro che consenta di conservare i colori delle immagini.
Don Delfo Gioacchini